Qual è il vero superpotere di un Assistente Familiare?
Ogni volta che entro in aula davanti a un gruppo di aspiranti assistenti familiari, mi chiedo: quali sono i superpoteri che ognuno di loro è pronto a mettere al servizio delle persone fragili che incontrerà nella sua carriera?
Durante i corsi stimolo sempre i partecipanti a riflettere su questa domanda. È un esercizio potente, perché aiuta ciascuno a prendere consapevolezza delle proprie qualità individuali.
Sono convinta che per svolgere un lavoro di cura e assistenza a chi è in difficoltà servano doti speciali: bisogna essere un po’ Supereroi. E cosa rende tale un supereroe? I suoi Superpoteri, ovviamente!
Alla ricerca del superpotere giusto
Inizialmente, pensavo che l’assistente familiare dovesse possedere molte qualità imprescindibili. Ho riflettuto a lungo, stilando elenchi e osservando il mestiere da più prospettive: quella degli assistenti, degli assistiti e dei familiari.
Ma ogni elenco, per quanto accurato, sembrava incompleto. Fino a quando ho capito che la chiave non era aggiungere, ma togliere. Bisognava andare all’essenza.
Così ho cambiato domanda.
Come scrisse Kafka, “per ottenere risposte giuste, servono domande giuste”.
E la domanda giusta è diventata:
Qual è il Superpotere che contraddistingue davvero un Assistente Familiare?
E la risposta è arrivata chiara e inequivocabile: l’Empatia.
Empatia: la base di tutto
Da quasi un anno accompagno persone nel loro percorso di formazione come assistenti familiari, e posso dire con certezza che ognuno è unico.
Ed è proprio questa unicità che inizialmente mi ha tratto in inganno, facendomi credere che ci fossero tanti superpoteri diversi.
In realtà, tutto parte da un’unica qualità fondamentale: l’empatia. Tutto il resto – professionalità, ascolto, rispetto, pazienza – discende da lì.
Empatia deriva dal greco antico e indica la capacità di “sentire dentro” l’altro, di mettersi nei suoi panni e partecipare ai suoi sentimenti. È il fondamento che permette di assistere davvero una persona nel modo più profondo e umano possibile.
Come si esercita il superpotere dell’empatia?
Empatizzare significa guardare l’altro con occhi nuovi e cuori liberi da pregiudizi, pronti ad accogliere la sua storia personale.
È da qui che nasce un ascolto attivo, il rispetto per l’autodeterminazione dell’assistito, la volontà di sostenerne le capacità residue.
Empatia è osservazione, è attenzione all’ambiente, alle condizioni fisiche e psicologiche della persona assistita.
Solo così possiamo cogliere i suoi veri bisogni e intervenire in modo mirato.
Una domanda che faccio spesso in aula è:
“Ti sei mai chiesto cosa proveresti se fossi tu al suo posto? Se qualcuno dovesse imboccarti, lavarti, cambiarti?”
Spingo i partecipanti a provare in prima persona, laddove possibile, certe pratiche durante le dimostrazioni tecniche.
Perché solo vivendo anche solo in parte l’esperienza dell’assistito, possiamo davvero capire come donare la miglior assistenza possibile.
Oltre la tecnica: risvegliare la coscienza
Quando formo assistenti familiari, non si tratta solo di trasmettere una tecnica.
Anzi, la tecnica è ciò che mi preoccupa di meno. Quello che davvero conta è risvegliare la parte umana di ciascun partecipante.
Perché fare l’assistente familiare significa assumersi un ruolo profondo, fatto di contatto, rispetto, sensibilità e consapevolezza.
Un ruolo che ha a che fare con la dignità e la speranza, e che può rappresentare una vera ancora di umanità per chi si sente perso nella fragilità.